Mercoledì 21, dopo ore di fila per pagare la tassa di uscita dal Paese in un ufficio dal quale si accede attraverso un magazzino, lasciamo Trinidad and Tobago. Per raggiungere il suolo venezuelano prendiamo un traghetto, anche se sembra di entrare in una discoteca: per 5 ore il nostro viaggio è accompagnato da musica a palla. E quando dico a palla voglio dire che non si riesce nemmeno a parlare. Quando dico musica, invece, intendo dire reggeton, cumbia e un po' di ip pop. Va beh, musica di merda, tanto x capirci. In compenso c'è gente che balla, gente che va a conoscere altra gente e gente che beve. Esattamente come in un locale. Non siamo più i soli bianchi, vedo il traghetto come una transizione tra popolo nero “yes man all right man” e popolo latino. Un miscuglio. E poi ci sono altri backpackers che si godono la scena e, nel possibile cercano di fare due chiacchiere.
Arriviamo a Guiria, in Venezuela, con un ritardo di 2 o 3 ore perchè non solo la cosa non era molto ben organizzata durante la procedura della tassa di uscita, ma il traghetto è poi rimasto fermo con noi sopra un'altra ora prima di far scendere 3 persone che evidentemente non avevano le carte in regola. I passaporti una volta al porto ce li stampa, in un tavolino del bar del ferry, una signora che sembra una prof delle medie.
Dobbiamo cambiare soldi perchè qua non si trovano uffici di cambio ovunque e perchè sembra che il mercato ufficiale paghi meno di quello illegale e dobbiamo capire come andarcene dal porto dato che a quest'ora gli autobus son finiti. Nel frattempo le voci sulla pericolosità del posto e sulla corruzione di belli e brutti si fanno molteplici e un ragazzo spagnolo viene in nostro soccorso: vive in Venezuela da 3 mesi lavorando per una associazione di volontariato perciò già ha una idea di come ci si muove. Ci aiuta a trattare il cambio con delle persone che, assolutamente illegalmente lo praticano, a quanto dice lui, per lo meno con soldi veri. Poco distante ci sono poliziotti probabilmente corrotti che lasciano fare. Ci arrangia anche un gringo tour accompagnando noi e gli altri biondi con zaino fino al centro della cittadina per trovare un taxi. Spiega che l'unica è prendere un “por puesto”, cioè dei taxi che fanno determinate rotte e che partono solo quando riempiono totalmente la macchina. Riusciamo ad organizzare due macchine e partiamo per Carupano, dove le nostre strade si divideranno. Il taxista, all'inizio restio a parlare, dopo qualche domanda sul cibo si lascia andare e ci facciamo un bel viaggio di 4 o 5 ore parlando di clima, politica, economia e grandi sistemi. Ovviamente non poteva non venir fuori Chavez e sembra che il tipo, pur ammettendo che il presidente alcune cose le ha fatte male, sia uno dei suoi elettori. Intanto piove ininterrottamente e, a quanto dice il nostro nuovo amico al volante, non smette da secoli. La stagione secca dovrebbe già essere iniziata ma quest'anno non si capisce niente. Non so se la pioggia peggiora la percezione, ma la vita che vedo dal finestrino mi sembra molto misera. La gente nelle campagne vive nel fango. Le case non solo sono umili, ma sono dentro a pozzanghere enormi. Il tassista dice che le cose non vanno alla grande, ma che nemmeno il capitalismo se la sta cavando bene ora! Ai muretti ci sono scritte a favore del partito e disegni che rappresentano Chavez. Ci fermiamo per fare benzina. Ecco: la benzina non costa niente. Il nostro amico spagnolo ci dice che lui ha una moto e a volte non ha una moneta abbastanza piccola per pagare il pieno!
Arrivati a Carupano salutiamo spagnolo e venezuelano e con noi rimane un canadese con cui riusciamo a trovare una stanza per quattro non troppo costosa, mangiamo una cosa al volo e parliamo di quanto sia bello il Canada. Il giorno dopo lui va per la sua strada e Ted, Nico ed io riusciamo a prendere al volo un pullman per Caracas, con l'idea di prenderne subito un altro per Maracaibo e infine uno per arrivare in Colombia, dato che siamo tutti d'accordo sul non volerci trattenere, anche xchè piove senza tregua. Tutt'intorno ci sono urla e schiamazzi di gente che vende cibo, o propone taxi o fa salire sugli autobus.
Arrivati a Caracas ci aspetta una sorpresa: non ci sono più bus fino a gennaio. La stazione degli autobus pullula di gente e noi per un attimo temiamo di dover restare proprio nella città in cui non volevamo nemmeno metter piede. Nico fa qualche telefonata e scopriamo che esiste un altra stazione dei pullman. Prendiamo un altro taxi, attraversiamo la città ed arriviamo davanti a sta struttura in cemento con migliaia di persone fuori che urlano cose incomprensibili. Sembra di essere all'entrata di uno stadio in cui tra poco inizierà un concerto! Entriamo e la bolgia si fa sempre più preoccupante. C'è gente in coda, gente seduta, gente che corre, gente che urla. Scopriamo che non ci sono più biglietti nemmeno qua e ci rendiamo conto che la gente che urla sta dicendo nomi di città: pubblicizzano i loro pullman pirata. Non ci resta che prenderne uno. Andiamo nel parcheggio, il casino si intensifica ed io vado con la mente al nostro ultimo viaggio in Norvegia...penso ad Oslo, al silenzio, alle bici e alla gente che cammina tranquilla nell'ordine e nella pace cittadina e mi viene da ridere, forse per non piangere. Mi spingono, mi calpestano con le valigie e intanto respiro fumi di una quarantina di autobus abusivi che non si sa perché devono tutti tenere acceso il motore per ore. Il prezzo di un passaggio in un pullman pirata può arrivare ad essere 3 volte quello di un pullman di linea. Noi riusciamo a pagare solo poco più del doppio e saliamo su questa cosa stracolma di gente e valigie. Conosciamo Giuli, una ragazza colombiana che studia e lavora a Caracas e che deve raggiungere Santa Marta, proprio come noi. E' felice di raccontarci mille cose di Santa Marta e della Colombia e di quanto tutto sia più fantastico li'. Si viaggia di notte ma si dorme poco: veniamo fermati da mille posti di blocco e per mille volte dobbiamo far vedere il passaporto a questi baby poliziotti armati. La musica, rigorosamente cumbia, è al massimo e lo rimane fino a notte fonda, quando io ad un certo punto scoppio e urlo di abbassare. Ovviamente non mi cagano e per fortuna Giuli fa la voce grossa e ci salva almeno fino alle prime luci dell'alba, quando ci riscoppiano i timpani.
Quando arriviamo a Maracaibo, la mattina dopo, fa un caldo boia, ma almeno non piove e non rivedrò mai più quell'autista pazzo e sordo. Penso che il viaggio più brutto della mia vita sia terminato e non vedo l'ora di passare sta frontiera. Giuli ci propone di prendere un “por puesto” e ci capita una macchina scassata con un tipo serio serio. Grazie a Giuli non ci facciamo fottere sul prezzo ma il tipo dice che 4 siamo pochi e va a cercare la quinta persona per riempire la macchina. Torna con 2 e ci ritroviamo ad essere in 7 in un'auto (3 davanti e 4 dietro) e le valige legate nel bagagliaio che non si chiude. La situazione è ardente, nel senso che il motore sotto i nostri piedi riscalda a livelli impensabili il suolo e io temo mi si possano sciogliere le scarpe. Siamo tutti appiccicaticci stretti l'uno all'altro ma Giuli e' simpatica e mi racconta la storia della sua vita. La strada per arrivare alla frontiera è zona dei nativi, degli indios per intenderci. Giuli mi racconta che riescono a trafficare la benzina venezuelana in Colombia, dove è molto cara. Dice anche che molte volte fanno proteste e casini vari e bloccano sto stradone sterrato. Lei però si sente molto legata a loro perché un suo nonno era nativo. L'altro nonno invece era francese ed era un latin lover! Va beh. Lungo la strada i controlli sono uno ogni pochi chilometri e capiamo che i poliziotti vogliono soldi in cambio di non aprirci tutte le valigie. Giuli ci dice che secondo lei c'è un inciucio tra poliziotti e taxista x farci pagare e da brava padrona di casa ci dice di lasciar fare a lei. Rifiuta categoricamente di pagare la mazzetta, dice che non abbiamo niente da nascondere e che è illegale chiedere soldi. Io ammetto che sono abbastanza nervosa. Siamo nel mezzo di una strada polverosa con gente che ci supera da tutte le parti, si muore dal caldo, i poliziotti col pistolone vogliono soldi e la mia compagna di viaggio tira fuori il suo bel caratterino. Alla fine sembra che pagare sia il taxista, probabilmente lui comunque deve superare i controlli cosi perché non avrà i documenti in regola x passare con la macchina la frontiera e voleva fottere noi e farci sborsare a noi i soldoni. I controlli successivi sono sempre meno spudorati e Giuli mi fa vedere la sua tessera universitaria: studia medicina in una università militare e dice che è per questo che i poliziotti ci han lasciati stare, perché se no lei avrebbe potuto denunciarli. Non so se sia per questo, ma certo è che se non c'era lei noi pagavamo, e probabilmente ad ogni posto di blocco! E che devi fare in un paese straniero quando la polizia è cosi? Comunque sembra che l'universo stia castigando il nostro tassista con un bell'attacco di diarrea e quindi si infila in un bosco lasciandoci per un po soli nel caldo della strada.
Penso nuovamente che questa volta non può succedere niente di peggiore ma mi sbaglio: il timbro all'uscita dal Venezuela è un gioco da ragazzi, ma per farsi timbrare il passaporto all'ingresso della Colombia c'è una coda interminabile. La coda è circondata da bancarelle che vendono cibo, e sulla strada passano macchine, moto-taxi, pullman, il tutto alzando polverone su di noi. Il taxista ci aspetta sul lato colombiano (passando la frontiera come se niente fosse, cosi come chiunque voglia.) La coda non scorre e capisco che non c'è limite al peggio quando, un paio di ore dopo il taxista arriva e ci dice che svuota il bagagliaio e se ne va, perché mica puo stare qui fino a mezzanotte. Qui mi incazzo anch'io e gli dico che noi abbiamo pagato fino a Maicao e perciò o ci aspetta o ci ridà i soldi. Dopo un po' ritorna sempre più determinato ad abbandonarci alla frontiera, in mezzo al nulla e con la notte alle porte e qui la nostra paladina della giustizia colombiana chiama dei poliziotti, li porta al taxi e loro lo obbligano ad aspettarci! Nel frattempo io sono in coda e sembra che davanti ci sia gente che vende i posti per entrare prima all'ufficio e dappertutto c'è chi vende timbri falsi. O santo dio, ma quando finirà tutto ciò? Per lo meno chiacchiero un po' con la povera gente che mi circonda: loro stanno solo cercando di tornare a casa per Natale. Una signora dice che tra bus Pirata, surplus valigie e mazzetta alla polizia ha pagato di più che per qualsiasi altro viaggio nella sua vita. Nico rimane col taxista per controllare che non scappi e ogni tanto si da il cambio con Ted e mi racconta di come la gente se vuole passa tranquillamente senza timbro. Insomma, sta frontiera è fatta apposta per non funzionare. O meglio per far funzionare i traffici illegali, droga che va, droga che viene ecc.
Quando riesco a entrare in ufficio sono ormai le 8 di sera. Ho fatto più di 4 ore di coda e non sento più le gambe. Il taxista non è più arrabbiato. In realtà non voleva tornare tardi per questa strada da solo perché aveva paura, povero. Ma ora ha trovato un collega che è nella sua stessa barca e perciò' faranno la strada insieme. Ci molla alla stazione degli autobus di Maicao, dove prendiamo un altro bus pirata perché ovviamente non c'è altro e ci facciamo altre mille ore fino a Santa Marta. All'arrivo Nico mi dice che siamo stati fermi svariate ore perché c'era una protesta che aveva bloccato la strada (di notte???), ma io dormivo e quindi non importa. Sono ormai le 4 quando arriviamo a Santa Marta, non ci resta che salutare la nostra amica colombiana, ringraziarla e prendere l'ennesimo taxi per Taganga, dove finalmente, dopo 30 ore, potremo riposare.
Penso che se avessi preso un aereo sarei stata tranquilla, felice e spensierata, ma non avrei mai visto tutto quello che ho visto. La gente che magari è entrata in Colombia oggi ma atterrando in un aeroporto non si immagina nemmeno minimamente ciò che succede sulla terra, alla frontiera.
Mi ricordo che anche per questo abbiamo scelto di viaggiare via terra.
E mi addormento felice.