Mamma mia come sono indietro col blog....
...dunque correva il giorno 4 di gennaio...
...giusto giusto per la festa del paese arrivammo! E per di più di sera, percio' a Salento, ormai, una stanza per passare la notte era un'impresa trovarla. Dopo aver camminato un bel po' con gli zainoni tra gente in festa e viuzze un po' più isolate ma piene di fango, decidemmo di prendere l'unica stanza libera disponibile, anche se per una notte ci chiese 50000 pesos, cioe' 25 dollari. E va beh, ne approfittammo per usare internet e farci finalmente una doccia non fredda in un bagno risplendente. Salento, nonostante il nome evochi lu mare, lu sole e lu vientu, e' un paesino molto carino della regione del Quindio, che fa parte di quello che in Colombia chiamano el eje cafetero – l'asse “caffettiero”, ossia, la zona del caffe', nel centro del paese, gia' sulla cordigliera. In qualche modo direi che e' un rifugio di artigiani, infatti i negozi di questo tipo si susseguono nella via principale e le bancarelle in piazza. Le viuzze sono a scacchiera ma molto carine, con casette bianche fatte di terra che ti accompagnano in salita fino alla piazza principale, quadrata, in stile coloniale, con il parchetto in mezzo, la chiesa su un lato, la polizia, il municipio e le altre istituzioni sugli altri. Dal Mirador, a una decina di minuti dalla piazza, c'è un panorama stupendo della valle e le passeggiate, a piedi o a cavallo, sono la cosa migliore da fare. La festa mi ricordava molto il periodo di natale a Taganga, dove la gente metteva fuori dalle proprie case casse giganti per ascoltare la cumbia a palla, fino al punto di storpiarla. Cio' che ne risultava era un bordello generale e voglia di togliere la corrente. Qui il bordello era solo in piazza, ma quando i colombiani ascoltano la musica lo fanno in modo che possano ballare anche nei pianeti vicini.
Noi, dopo aver comprato qualche Cuca (dolcetto tipico) e chiacchierato con qualche artigiano, fuggimmo a Boquia, a valle, dove trovammo asilo in casa di Mar, una donna speciale. Dire casa e' riduttivo, in quanto si tratta di un mondo a parte. Mar e' una artista viaggiatrice che dopo aver vissuto e girato in varie parti del mondo, tra cui anche l'Italia, una ventina di anni fa inizio' a piantare specie autoctone di piante e alberi vicino a un terreno occupato da alcune famiglie che lei stessa stava aiutando affinche' potessero avere i servizi basici e la scuola. Un po' alla volta inizio' a formarsi il bosco e, per rifugiarsi e riposarsi mentre lavorava a questo progetto, comincio' a costruire piccole parti di quella che poi sarebbe diventata la sua casa. Una volta comprato il terreno si batte' affinche' quella piccola giungla nel mezzo di colline spogliate dai campi di caffe' diventasse una riserva naturale e cosi' fu. Ora varie specie di uccelli cinguettano qua e la e il bosco e' cosi fitto che se non curasse costantemente i sentierini non si potrebbe passare. Ci disse che era stata la riserva a regalarle la casa perché naque un po' cosi', spontaneamente. E' una casa fatta soprattutto di bambu, legno e materiale reciclato e puo' ospitare una quarantina di persone. La sala principale e' all'aperto e le sue pareti sono il bosco stesso. In ogni dove ci sono dipinti, sculture e impronte artistiche. Fantastica! Noi accampammo vicino al fiume, tra palme e bambu. Passammo una settimana in compagnia sua e di una giovane attrice di teatro ecuadoriana col suo meraviglioso e simpaticissimo bambino di tre anni. Nella casa c'era anche una ragazza colombiana, sempre artista, ma un po' più occupata e presa da un progetto a cui stava lavorando. Le giornate passavano aiutando Mar in qualche lavoro, inventandosi giochi con il bimbo, preparando insieme buonissimi pranzi e cene e godendoci la pace del luogo e il rumore della pioggia che ogni sera puntualmente scoppiava con forza. La nostra tenda resisti' perfettamente e la mattina dopo era splendido sbucare fuori e venire avvolti da quel verde intenso illuminato dal sole. Era difficile decidersi ad uscire da quel paradiso, ma per fortuna qualche volta ci riuscimmo e ne risultarono interessanti passeggiate.
Camminando per queste zone a volte si prende una viuzza piccolina e sterrata che sembra portare semplicemente ad un fiume, o ad un bosco e, senza saperlo, si entra in altri mondi: sono las veredas, ossia delle frazioni rurali pululanti di vita. In una di queste, dopo aver fatto una bellissima passeggiata lungo il fiume e su per una collina, arrivammo ad una piccola finca cafetera biologica, cioe' una fattoria dove si coltiva il caffe'. Don Elias, e' un uomo sulla settantina, dai capelli e i baffoni bianchi, molto elegante, sia nel vestire che nell'essenza. In realta' l'eleganza degli abiti era forse dovuta al fatto che stava per andare in paese, ma in ogni caso non si rifiuto' di portarci in giro per la finca e spiegarci il processo con cui fanno il caffe'. Le piante vengono coltivate insieme alle palme di banane che servono anche a fare loro ombra mentre sono piccole. Sono arbusti con foglie di un verde intenso e i chicchi di caffe' sono ricoperti da una guaina che quando e' matura diventa rossa. Solo allora e' possibile raccoglierli e metterli in una macchina che, entrando in funzione con una manovella, separa i chicchi dalle bucce. I primi vengono sciacquati e le seconde riutilizzate come fertilizzante. Una volta “nudi”, i chicchi vengono messi a seccare in una serra di naylon sopraelevata per poi venir tostati in una pentola e triturati con un'altra macchina manuale. La visita termino' con una bella tazza di caffe' biologico preparato dalla moglie, mentre un pugno di ragazzini correva qua e la'.
Questa zona e' stata completamente disboscata per far spazio al business del caffè, ma in realtà ci sono molte meno piantagioni rispetto ad una volta, forse a causa della concorrenza con il caffè africano, che e' più economico. Fatto sta che molti campi ora sono adibiti a pascoli e la mancanza di vegetazione, sia autoctona che no, ha provocato un innalzamento della temperatura.
A cercare di rimediare ci sono realtà come quella dell'ecoaldea Mama Lulu'. Questa era un tempo una finca cafetera, finche', nel 1984, la famiglia che la lavorava si trovo' davanti alla decisione di trasformarla in qualcos'altro o lasciarla e andare a cercare fortuna in citta'. Fortunatamente decisero di tirarsi su le maniche e convertire la coltivazione di caffe' in una insieme di coltivazioni diverse per l'autosostentamento della famiglia, a partire dagli alberi autoctoni fino alla frutta e la verdura per il consumo ma anche canna da zucchero, vegetali per gli animali, cacao, caffe e ovviamente bambu per la costruzione. La finca funziona secondo un piano eccellente di permacultura, che prevede produzione di biogas per la cucina attraverso le feci degli animali, fitodepurazione delle acque nere e grigie tramite un sistema di vasche e piante, pompaggio dell'acqua per il consumo da una sorgente con un sistema meccanico che si chiama ariete (che io non avevo mai visto ma che mi ha fatto innamorare a prima vista!), raccolta delle acque piovane per la pulizia delle stalle e per l'allevamento di alcuni pesci per l'autoconsumo. Il tutto in meno di un ettaro di terreno! E in più organizzano visite guidate e corsi e ospitano turisti per poter condividere la loro esperienza e poter essere un esempio di perseveranza, lotta per la salvaguardia ambientale, autosufficienza e semplicità.
Siamo orgogliosi di scoprire in ogni angolo del mondo splendide realta' di RESISTENZA.
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