Tre o quattro anni fa, dall'Argentina, contattai Juan, un professore di turismo, perché ero interessata ad un suo progetto di turismo responsabile che stava realizzando qui in Perù. Alla fine optai per lavorare come volontaria in Patagonia e il resto e' storia...Beh, quando siam passati per Trujillo, la sua città, abbiamo deciso di conoscerlo e capire un po' come lavora. L'incontro e' stato molto piacevole, interessante e ispirante ed e' terminato con il consiglio, da parte sua, di passare per Pamparomas, nella Cordillera Negra, dove da poco ha avviato un nuovo progetto e soprattutto dove avremmo dovuto assolutamente conoscere Padre David, un canadese che da quasi vent'anni vive li'. Noi non siamo molto nella onda chiesa, preti, ecc, ma ci piaceva l'idea di andare in un paesino tra le montagne e conoscere gente impegnata in progetti interessanti. Con curiosità siamo arrivati a Pamparomas, e con un groppo in gola, 12 giorni dopo l'abbiamo salutata. Questa e' stata una delle esperienze più intense del viaggio.
David e' un prete con i contro-coglioni che nel 1997 ha formato una organizzazione no profit (la Junta de Desarrollo Distrital de Pamparomas) e, attraverso fondi di alcune ONG, tra cui una italiana, e' riuscito a dare lavoro a vari giovani del posto e delle comunità circostanti. Si tratta di una istituzione che ha come scopo il recupero, in una zona che oggi soffre gravi problemi di malnutrizione, delle tradizioni preispaniche, soprattutto per quanto riguarda l'agricoltura e l'alimentazione, nonché l'autostima in loro stessi e nella loro cultura (diminuita notevolmente a causa di secoli di sfruttamento e discriminazione). Questa gente parla quechua e vive ancora organizzata in comunità. Insomma, il popolo andino resiste. La civiltà europea in più di 400 anni di occupazione e imposizione non e' riuscita a cancellare completamente la loro cultura. L'impero incaico e' stato battuto, ma e' ancora vivo. Un po' acciaccato, ma persevera. Sono andate perse molte delle conoscenze e tecniche riguardanti l'agricoltura (che comunque e' estesa), l'architettura e altre scienze perché non esisteva una vera e propria scrittura quechua e le rappresentazioni artistiche riguardavano solo l'aspetto sacro e non quotidiano della vita, ma soprattutto perché gli spagnoli hanno eliminato i loro capi (gli Inca) e hanno costretto il resto del popolo, tra cui contadini, intellettuali, astrologi e detentori del sapere, a lavorare nelle miniere durante la folle ricerca di oro e argento da inviare alla madre Europa, o li hanno schiavizzati in altri modi nella costruzione delle colonie. Ciononostante la cosmo visione, la solidarietà, il loro vivere in comunione, le loro danze, le loro musiche, la loro arte e la lingua sono rimasti e testimoniano l'esistenza di un popolo vivo.
Attraverso un team di giovani della zona da poco laureati (o ancora studenti) in agraria, comunicazione e contabilità la Junta lavora nei suoi uffici e raggiunge le comunità circostanti e le aiuta a riscoprire dentro di loro e tra di loro le conoscenze millenarie e a diffonderle. Un po alla volta siamo entrati in confidenza con i ragazzi e abbiamo partecipato alle riunioni e e condiviso esperienze (oltre ad aver trafficato per giorni con i computer per ripulirli e installare Linux, nella speranza che non abbiano più problemi di virus). Avendo ricevuto e imparato moltissimo, abbiamo voluto lasciare un po della nostra esperienza, soprattutto per quanto riguarda le eco-tecnologie “caserecce” come il compost toilet, lo scaldabagno solare, l'utilizzo dell'energia passiva attraverso varie tecniche di auto-costruzione con materiali naturali, ma anche consigli per la gestione e il riciclo dei rifiuti, fino ai metodi di agricoltura imparati in Patagonia e durante le nostre esperienze nelle aziende agricole e fattorie in Italia e in Norvegia o visti durante questo viaggio in Sud America. Insomma, c'è stato uno scambio interessante e loro sono rimasti molto contenti di poter conoscere esperienze diverse.
Un paio di volte abbiamo visitato una comunità ad una ventina di km dal paese. La prima volta siamo andati in moto con uno dei ragazzi della Junta e il gruppo dei giovani che si occupano del progetto nella comunità ci ha mostrato il loro lavoro nella serra, i loro allevamenti di porcellini d'India e di Lama (antiche tradizioni mai morte) e la comunità in generale. La seconda volta siamo saliti in autobus (e tornati giù in due con una bici senza catena!) e la comunità ci ha offerto un pranzo di quinoa, porcellini d'india (che ho mangiato nonostante non mangi carne) e riso. Noi abbiamo offerto loro pane fatto il giorno prima nel forno di terra cruda della zia di un ragazzo della Junta e una cremina di avocado e li abbiamo aiutati ad aggiustare il telo di nylon della serra, facendo vedere loro come facevamo in Patagonia. Anche qui e' stato interessante, nonostante la difficoltà linguistica e la differenza culturale (alcuni di loro parlavano solo quechua..altri non parlavano per timidezza), scambiare esperienze e conoscenze e condividere il lavoro ed il cibo.
Credo che questa sia la cosa più bella del viaggiare e chi viaggia dovrebbe sentirsi responsabile di far circolare le informazioni e le nuove o differenti tecniche tra le popolazioni visitate. Oserei dire che il viaggiatore e', potrebbe o dovrebbe essere un ponte tra le diverse culture e le diverse realtà.
Anche per questo faremo tesoro degli insegnamenti della Junta...
come dice la mia amica Lucia “Se tu hai una mela e io ho una mela e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela per uno. Ma se tu hai un'idea ed io ho un'idea e le le scambiamo allora entrambi abbiamo due idee”.
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