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viernes, 4 de mayo de 2012

FINISCE COSI', QUESTA FAVOLA BREVE SE NE VA (se ne va), IL DISCO FA CLICK E VEDRETE TRA UN PO' SI FERMERA' (si fermerà)...MA ASPETTATE E UN'ALTRA NE AVRETE...C'ERA UNA VOLTA, IL CANTAFIABE DIRA' E UN'ALTRA FAVOLA COMINCERA' (cominceraaaaaaaaaaaaaaa')

Siamo ormai in Patagonia. Dopo aver visitato la mia famiglia argentina a Tucuman e dopo aver vissuto una avventura di 1500 km in autostop da Santa Maria (in Catamarca) a Zapala (in Neuquen)e successivamente una bella vacanzetta rilassante tra parchi nazionali e laghi patagonici con la famiglia di Nico, ci ritroviamo a El Bolson, dove staremo un paio di giorni prima di andare a Cholila, dove ci siamo conosciuti, dove abbiamo vissuto vari mesi e dove ci siamo sposati. Già abbiamo visto che la strada che porta al paese e' stata asfaltata, il che vuol dire che probabilmente molte saranno le novità che ci attendono. Speriamo che la magia del posto non se ne sia andata con l'arrivo dell'asfalto...
Il mio racconto finisce qui.
Il nostro viaggio all'interno di questo grande paese dai confini assolutamente arbitrari mi ha fatto amare ancor di più la voglia di verità e la vita stessa.
Alla fine, nell'ultimo periodo il tempo ci ha pizzicato un po' le chiappe e abbiamo dovuto fare le cose abbastanza di corsa, il che ci obbligherà a tornare...un giorno o l'altro. Il prossimo viaggio pero' lo faremo con un bel furgoncino ammobiliato perché abbiamo convenuto che convenga sia in termini economici che di libertà. Magari questa volta con qualche marmocchietto urlante a farci compagnia... Per ora mi godo l'euforia per la bellissima notizia che mi ha dato mia sorella: a novembre diventeremo zii!!!! Non credo potesse esistere una maniera migliore per concludere questo meraviglioso viaggio...e iniziare un altro capitolo della nostra storia con uno stimolo in più per vivere una vita in armonia con la pachamama e los amigos di tutte le razze e lottare un po' per il bene di questo nostro mondo. 

miércoles, 25 de abril de 2012

Peru: cultura andina, orgullo nacional


Hemos recorrido largas distancias y visto quizas demasiadas cosas, en solo un mes pretender ver perú es una ardua empresa. Son muchos no solo los kilometros a recorrer, como tantas las distintas realidades que uno puede encontrar. Entre culturas ancestrales que resisten aun al avance de las civilizaciones llegadas hace 500 años, y los sitios arqueologicos que puden visitarse todo a lo largo y ancho del país, yace una historia que es apasionante descubrir.

En nuestro recorrido pasamos por Trujillo, casa de los moche y chimu, pamparomas, un pueblo de la cordillera negra donde comunidades campesinas originarias luchan por resistir culturalmente el avance civilizatorio occidental, lima: la capital del actual estado del peru, cusco: capital del entonces imperio incaico, y el lago titi caca: donde nace la civilizacion tiawanacu madre de todas las culturas andinas.

En toda america latina son todavia más de 6 millones las personas que hablan quechua como su primera lengua, y eso puede verse facilmente cuando uno recorre. Mucha de esa y otra gente vive, a grandes rasgos, en una manera muy similar a la de sus antepasados. La principal actividad economica que desarrollan es la agricultura de papa y maiz, entre otros cultivos y la ganaderia de llamas y alpacas, así como también vacas y ovejas. A parte muchos de ellos se dedican al trabajo artesanal de distintos materiales, principalmente al hilado y tejido de lanas.

Mucha de esta gente ha perdido buena parte de sus creencias y las ha reemplazado con la fe catolica que les ha sido inculcada a sangre y fuego. Es triste ver como todos los santuarios y templos de las culturas originarias han sido destruidos por los invasores para erradicar ceremonias, cultos y creencias, para luego, con el material de esas ruinas, y en algunos casos sobre ellas, construir sus propios templos.

Con la llegada de nuevas culturas dominantes no solo se han perdido creencias, tambien hay saberes que fueron olvidados. Los moche y chimu contaban con una extensa red de canales que les permitio convertir lo que originalmente era un desierto, en un vergel de abundancia agricola que fue la base de la expansion de sus dominios. Uno de los principales canales que llevaba el agua desde el rio moche hasta la ciudadela de chan chan, irrigando en el camino amplias zonas de cultivos fue destruido por los invasores incas para poder dominar a los chimu, que resistian su avance. Hoy los alrededores de trujillo hacia huanchaco, donde se encuentra chan chan, son nuevamente un desierto donde nada crece, y si bien hay voluntad para volver a dar vida a ese area no hay capacidad tecnica ni material entre los actuales peruanos para poner a funcionar un canal como el que fue construido miles de años atras y cuyos restos son hoy todavia objeto de estudio para muchos.

El contraste cultural entre el modelo de vida consumista occidental y el campesinado originario andino es fuerte y notorio. Existen entre ellos un sin fin de matices y de grises intermedios, pero hay claramente un extremo y su opuesto. Mas alla de slogan politicos hay en muchos lugares aun una cultura del buen vivir (sumak kawsay) que parece estar tomando fuerza. En pamparomas hemos trabajado con una junta de desarrollo local cuya principal meta es revalorizar la cultura campesina andina y su forma de vida; sin negar los avances del presente pero recuperando saberes y concepciones del pasado que a este mundo moderno en el que muchos vivimos le representan una piedra en el zapato. Creo, como muchos otros, que en la aparente miseria de muchos de esos campesinos andinos se esconden algunas de las riquezas mas importantes que tenemos como especie.

lunes, 16 de abril de 2012

UN PO DI BOLIVIA

Dopo una fugace visita a La Paz, una bella e viva capitale in cui anche in pieno centro le facce della gente erano al 90% indigene, ci siamo diretti verso Potosi, non potendo non visitare il famoso Cerro Rico, ossia la montagna da cui gli spagnoli hanno estratto argento per secoli. Si dice che questa montagna sia la culla del capitalismo, perché con la ricchezza che usciva da essa per entrare in Europa si e' finanziata l'industrializzazione del nuovo mondo. Peccato che a pagare siano stati milioni e milioni di indigeni che venivano sfruttati nelle miniere. Questa povera gente non riusciva a durare più di un paio di anni e pochi arrivavano a sei sette. Insomma una carneficina. Potosi era una delle città più ricche del globo: nel XVI e XVII secolo il Cerro Rico fu il centro della vita coloniale americana, al quale arrivavano materie prime e prodotti dal resto del continente. Nel XVIII secolo la popolazione di quella che oggi e' la Bolivia superava quella che occupava l'odierna Argentina. Poi arrivo' la decadenza, condanna riservata a tutte le regioni che hanno avuto un ruolo d'onore nella crescita di Europa e Stati Uniti, dove esportavano i loro prodotti, e oggi la popolazione boliviana e' più o meno un sesto di quella argentina. Potosi e' quasi una città fantasma, se comparata al periodo di gloria. Restano i palazzi e le chiese a testimoniare il suo antico splendore, ma oggi e' solo una povera città dello stato più povero dell'America Latina. Qualche scritta in centro attesta la promessa del popolo boliviano a non sottoporsi più allo sfruttamento e alla rapina da parte di mano straniera, ma quel che e' certo e' che qualcuno dall'altra parte del mondo dovrebbe delle scuse come minimo.

Siamo andati a visitare la miniera, anche se abbiamo preferito non arrivare dove lavorano i minatori (ci sono dei circuiti turistici che mostrano il lavoro nella miniera) in quanto non me la sentivo di andare con la mia faccia da turista a sbirciare la gente che fa un lavoro duro e pericoloso. Oggi la miniera appartiene allo stato boliviano e il lavoro e' sicuramente meno duro di quello dei tempi della colonia, ma, a causa dei gas e delle polveri che respirano, oltre all'alcol e alla coca che consumano, i minatori che lavorano abitualmente nelle gallerie della montagna non raggiungono i 40 anni di eta'. Insomma, non mi sembra proprio il caso di trasformarli in fenomeno da baraccone. Il nostro giretto turistico ci ha portato nel museo ospitato in una galleria dove, masticando coca e indossando abiti di sicurezza, abbiamo ripercorso la storia della miniera e omaggiato lo Zio, il dio/demone della stessa al quale i minatori offrono coca, alcol e sigarette affinché li protegga.

La nostra visita boliviana purtroppo non e' durata più di due settimane, durante le quali siamo per fortuna riusciti a fare un salto alla salina di Uyuni e al paesaggio lunare di Tupiza, che pare sia stata anche la tomba di Butch Cassidy e Sundance Kid, i nostri amici cholileri!

jueves, 22 de marzo de 2012

IL LAGO TITICACA. UN MITO TRA PERU' E BOLIVIA

Tutti mi avevano detto che a Puno mi sarei congelata dal freddo e che avrei avuto bisogno delle bombole d'ossigeno. Le bombole non le ho usate, anche se effettivamente per fare due gradini mi batteva il cuore a mille e mi dovevo fermare a riposare, ma freddo davvero non ce n'è stato, anzi, siamo stati accompagnati da un bel sole che rifletteva sul lago. Il lago Titicaca, con i suoi 4000 metri e' il lago navigabile più alto del mondo ma l'aspetto più shoccante e' la sua estensione, essendo lungo 230 km e largo 97. Sto parlando del luogo dove, secondo la leggenda, nacquero gli Inca, ma questo riguarda il lato Boliviano...infatti Perù e Bolivia si dividono questo enorme specchio d'acqua. Nella parte peruviana, si possono raggiungere imbarcandosi da Puno le famose Islas Flotantes, ossia le isole galleggianti. Si tratta di isole che effettivamente galleggiano, costruite con radici e giunchi di totora, una specie di canna che cresce nel lago. Ogni 20 giorni gli isolani devono aggiungere una cappa di materiale perché l'acqua e le intemperie lo fanno man mano degradare e se non ci stessero dietro affonderebbero! Queste isole furono create inizialmente dagli Uros, che, non volendo esser sottomessi dagli inca, deciderono di rifugiarsi nel lago. Poi con il tempo anche gli Aimara si rifugiarono nelle stesse isole e mescolandosi con il piccolo popolo degli Uros determinarono l'estinzione di quest'ultimo. Gli Aimara pur essendo conquistati dagli inca, non si integrarono mai completamente e tutt'oggi parlano la loro lingua, a differenza degli altri popoli che persero la loro a favore della lingua quechua. Il presidente della Bolivia Evo Morales e' un aimara, ma ne parleremo una volta passato il confine!
Purtroppo oggi queste isole sono stra commercializzate e visitarle e' come assistere ad uno spettacolino il cui fine e' la vendita di oggetti artigianali e industriali locali. Anche il giretto nella barca di totora e' puramente turistico, infatti queste barche vengono costruite esclusivamente per questa ragione. Insomma, molto interessante vedere che l'uomo si riesce ad adattare e vivere addirittura in mezzo ad un lago, senza bisogno di terra, ma lo show era veramente triste, come triste e' venir a sapere che ora non potrebbero più vivere di pesca come facevano un tempo perché, attratta dal turismo, moltissima gente della costa e' andata a vivere nelle isole e queste non sono più auto-sostenibili, se non con i soldi dei visitatori che sono praticamente costretti a comprare artigianato, pagare l'ingresso e farsi il giretto in barca.
Non e' stato il miglior modo di lasciare il Perù, ma questa ultima brutta esperienza non potrà cancellare un mese di esperienze bellissime.
Per raggiungere il lato Boliviano abbiamo preso un autobus. Il passaggio della frontiera e' stato il più divertente di tutti: il pullman ci ha fatto scendere sul lato peruviano, affinché cambiassimo i soldi e facessimo le pratiche burocratiche di uscita dal paese. Poi abbiamo tutti camminato verso il lato boliviano, dove successivamente avremmo ripreso lo stesso pullman, ma nell'ufficio della frontiera non c'era nessuno. Abbiamo aspettato una decina di minuti. Eravamo circa un trentina di persone in fila che si domandava dove caspita fossero i boliviani Ad un certo punto vediamo arrivare un gruppo di uomini con le divise di una squadra di calcio, scarpette coi tacchetti e grondanti di sudore....erano loro!!! Erano stati avvertiti da un poliziotto che ci aveva visto e avevano interrotto la loro partita! Che storie! In un secondo abbiamo avuto il nostro bellissimo timbro (volevano tornare a giocare al più presto!) e siamo risaliti in pullman. Più semplice di cosi non si può!
Il nostro viaggio in Bolivia e' iniziato egregiamente, dopo una breve visita alla Isla de la Luna, dove c'era il tempio delle donne, nella Isla del Sol, la isola originaria degli Inca e, prima di loro dei Tiahuanacu, il popolo da cui derivano gli Inca che aveva conquistato tutta la zona del lago. Secondo la mitologia incaica, qui nacque il dio Inti, ossia il dio sole, che poi creo il dio Viracocha, che e' il creatore del mondo.
L'isola e' abitata oggi da due comunità, che si dividono la isola in due parti, la sud e la nord e se la gestiscono separatamente anche dal punto di vista turistico. Noi siamo arrivati con la barca nella parte sud, dove abbiamo visitato il templo del sol e dove abbiamo iniziato il sentiero che, percorrendo tutta l'isola sul filo della montagna (che non e' eccessivamente alta rispetto alla costa) porta alla parte nord dell'isola. La camminata e' stata piacevole, con vista al lago (che sembra veramente il mare data la sua grandezza) vari tratti di boschetto (artificiale) e molti di terra spoglia (a questa altitudine la vegetazione non ce la fa). Tra una parte e l'altra ci sono gli isolani addetti al controllo del biglietto (bisogna pagare una piccolissima somma per avere accesso ad entrambe le zone) con cui ci siamo fatti due chiacchiere e due risate. Il sole ci ha accompagnato durante le 5-6 ore di cammino e siamo arrivati al tramonto nella parte nord, accolti dalla Roca Sagrada, cioe la roccia sacra dove va a riposare il sole e davanti alla quale venivano fatte le cerimonie e dal bellissimo labirinto incaico. Tra tramonto, stanchezza e sacralità del posto, questo momento ha avuto tratti magici e ci ha fatto camminare in una sorta di trans fino alla spiaggetta in cui abbiamo accampato, vicino ad altre tende, mentre dall'alto ci guardavano Venere e Giove stretti stretti come non mai.
La notte ha diluviato e io son stata un bel po sveglia e intimorita ad ascoltare la forza della natura (sola soletta perché Nico non ne ha voluto sapere di proteggermi dai mostri, anzi, diciamo che quasi non si e' accorto del temporale) e, avendo messo un po' alla cazzo i picchetti sulla sabbia (non sembrava dovesse piovere), ci siamo svegliati in mezzo all'acqua. Questo pero' non ci ha scoraggiato, anzi, abbiamo deciso di stare una notte in più, data la meraviglia del posto. Il giorno dopo abbiamo camminato per un altro sentiero che ci ha portato in mezzo ai villaggetti e alle terrazze coltivate della comunità nord e ci ha fatto incontrare vari contadini e persone semplici con cui scambiare due parole. Da alcune parti dell'isola si vedeva la Cordillera Real, picchi di 6000 metri ovviamente innevati e ovviamente un tempo adorati dagli abitanti del posto. Uno splendore. Quest'isola ci ha rilassato a livelli estremi, e ci ha lasciato a bocca aperta ed in silenzio per due giorni. Abbiamo camminato moltissimo, ma come se ci muovesse qualcosa di più forte di noi. Semplicemente camminavamo per cambiare il punto di vista da cui ammirare seduti in silenzio il panorama. Niente di più. E scusate se e' poco. 

miércoles, 21 de marzo de 2012

MISTERI E MAGIE DI MACHU PICCHU

Alle 4:30 di mattina eravamo gia svegli e alle 5 in cammino al chiaro di luna. Man mano che salivamo per le scalinate di pietra incontravamo altri impavidi come noi che, per non spendere 18 dollari di autobus avevano scelto scelto di farsela a piedi su per la montagna. Circa un'ora e mezza di scale in mezzo al bosco. Beh, rispetto a chi si fa il Camino del Inca, ossia 4 giorni di trekking, non e' niente, ma in ogni caso ha avuto la sua dose di fascino. Quando siamo arrivati su era già giorno. Il motivo della levataccia e' che per salire a Huayna Pichu, ossia la montagna che si vede dietro alle rovine, ci sono due orari: alle 7 o alle 10 di mattina e una volta che ti hanno assegnato un orario (quando compri il biglietto), se arrivi in tempo bene, se no ciccia. La stagione delle piogge stava per finire, ma questo appunto vuol dire che non era finita e le prime ore, sul cucuzzolo di Huayna Picchu, ce le siamo fatte sotto una bella pioggerellina che un po alla volta ci ha inzuppati e infreddoliti ben bene...ma soprattutto ce le siamo fatti contornati da nuvole che ci impedivano di vedere il panorama e la cittadella dall'alto. Io non sapevo più se pregare o se incazzarmi con la sfiga, finché ho deciso di godermela e basta sperando che il sole sarebbe finalmente uscito e ci avrebbe asciugati in un baleno.
Cosi e' stato, non appena siamo scesi dalla montagna e abbiamo iniziato a camminare tra le viuzze della antica città, le nuvole hanno iniziato ad aprirsi nascondendosi e dissolvendosi....il paesaggio e' da mozzare il fiato, le montagne circostanti ti pietrificano. Ero convinta che sarei impazzita con tutti i turisti che mi avrebbero circondato, ma, per la prima volta, mi sono sentita in sintonia con tutti, non ho incontrato i classici turisti coglioni che in posti cosi normalmente mi fanno perdere l'equilibrio bio-psico-geo-eco-fisico. Tutti eravamo in perfetta sintonia ad ammirare questo spettacolo. Il posto e' l'ennesima conferma che gli Inca costruivano le loro città in luoghi energetici. In particolare Machu Picchu e' stata costruita su un blocco di quarzo. Ma a parte questo, la cittadella e' in perfetta armonia con l'ambiente circostante e le montagne che la circondano sembrano girare intorno a lei come in un girotondo. Non si sa ancora bene come, ma per la sua costruzione, che e' durata un centinaio di anni, hanno appianato la montagna, cioè' ne hanno letteralmente tagliato un pezzo. E' da non credere, ma effettivamente si nota che tutt'intorno non ci sono altri ripiani come quello sopra cui sorge Machu Picchu. Son tutte montagne a punta, tutte. Intorno a questo ed altri misteri, fin dalla sua scoperta, studiano geologi, antropologi, storici, agronomi e chi più ne ha più ne metta e le tesi non sono esattamente unanime. Sono comunque tutti d'accordo sul fatto che il materiale con cui son state costruiti gli edifici, le terrazze, le vie e le scale e' stato preso sul posto, dagli stessi blocchi risultanti dalla rottura della montagna. Un altra scoperta da lasciare a bocca aperta e' che il terreno delle tantissime terrazze che la circondano e della piazza non e' terreno del posto. Si tratta di humus, terra fertilissima che sembra abbiano trasportato fino a 2400 metri per poter rendere possibile l'agricoltura in questo luogo. Nessuno sa bene come sia potuto realizzarsi un simile trasporto. Io immagino che molta terra sia stata creata in loco tipo compost, ma si parla di km cubici di terra e perciò il mistero rimane. Le incognite sono molte perché Machu Picchu e' stata scoperta e valorizzata solo a inizio del 1900: gli spagnoli durante la conquista ignoravano della sua esistenza...e grazie a questo motivo si e' conservata quasi perfettamente. Non manca molto più dei tetti. Il resto e' come era.
E la gente del posto o dei dintorni che dice? Cos'è rimasto nella memoria collettiva? Niente. Nessuno sa niente, nessuno ha racconti di nonni e bisnonni riguardanti questa città Eppure secondo vari calcoli qua dovevano viverci 400 persone. Che fine hanno fatto? Beh, iniziamo col dire che questa non era una città per tutti: fu costruita esclusivamente per la élite..una specie di Olimpo tra le nuvole. Perché? C'è chi sostiene che dato che alcune delle popolazioni conquistate dagli Inca non erano molto felici di essere sottomesse, per difesa, fu creato questo paradiso semi terreste lontano da tutto. Ha abbastanza senso. Le terrazze venivano coltivate da alcuni membri del popolo che facevano anche parte dell'esercito e il resto degli abitanti se la spassava tra meditazione, camminate e bella vita immagino. Ma la festa non duro' molto più di un secolo...dopo di che il nulla, l'oblio.
Pare che negli edifici siano stati ritrovati solo vestiti e oggetti da donna...Cosa sara successo agli uomini?Probabilmente, quando arrivarono gli Spagnoli nella zona, tutti gli uomini scesero per combattere e per anni restarono solo le donne, finché, forse, reputarono non sicuro il loro rifugio e se ne andarono anche loro. Ma il fatto che nessuno in zona sappia niente e' molto strano. C'è sempre qualche discendente che conserva la memoria storica. Non in questo caso.
Quando nel 1911 lo statunitense Hiram Bingham, con la guida di un ragazzino del posto trovo' queste rovine, due famiglie di contadini stavano occupando un paio di case. Ma sembra che abitassero li solo da 9 anni e che stessero svenducchiando qua e la' gli oggetti che trovavano. I tipi furono fatti evacuare ma poi Bingham stesso non fu meno ladro: con la scusa di far studiare ad una università americana i ritrovamenti (perché poi non ad una peruviana scusa?) si porto' tutto in patria dicendo che avrebbe restituito ogni cosa al Perù dopo 3 anni. E' passato un secolo e la maggior parte delle cose ancora non sono tornate. E va beh, soliti furti tra stati. Fortunatamente le pietre non se le e' potute portar via e la città rimane li dov'e', con le sue case, le sue fantastiche terrazze, le sue scalinate infinite, i suoi templi per la spiritualità e per i calcoli astronomici, dei quali ancora non tutti son stati decifrati. Li' immobile aspettando che si risolvano gli enigmi.
In realtà la nostra guida ci ha detto che a causa di una falda geologica la capacita' di carico di Machu Picchu e' superata ogni giorno e a maggio l'Unesco decidera se chiudere o meno l'accesso alla citatdella, lasciando ai turisti la sola possibilita di ammirare questa meraviglia artificiale e naturale da un balconcino... lo so, e' una notizia terribile. Consiglio a tutti di sbrigarsi se non volete vederla col cannocchiale.

lunes, 19 de marzo de 2012

IL CUORE PULSANTE DELLA CAPITALE DELL'IMPERO INCA

Nonostante Lima sia una bella città (la nostra visita e' stata ancora più interessante in quanto ci siamo incontrati con Sara, che si segue il progetto a Pamparomas per conto della Ong italiana), il vero spirito di questo popolo lo si respira a pieni polmoni a Cusco, l'antica capitale dell'impero Inca dalla forma di un puma (oggi e' difficile notarlo data la grande espansione che ha avuto negli ultimi secoli) e l'attuale capitale archeologica americana. Quando il primo Inca Manco Capac, nel XII secolo, su richiesta del dio Inti (il dio sole) trovò l'ombelico del mondo, fondò in quel luogo la città e la denominò Qosq'o, che in quechua significa appunto ombelico. Dopo di lui si succederono vari Inca (Inca era l'imperatore, non il popolo) e fu con il nono, Pachacutec, che l'impero si espanse a livelli gloriosi, dal sud dell'attuale Colombia al nord dell'Argentina e del Cile (furono i Mapuche a fermarlo). Il metodo di conquista era in primo luogo di tipo pacifico, basato sulla conoscenza e la tecnologia, infatti molti popoli si sono annessi all'impero volontariamente, considerando gli Inca delle persone sagge, colte, in grado di portare progresso e benessere. Poi, in caso di resistenza si ricorreva alla guerra. Questa grandezza raggiunta da Pachacutec duro però solo un centinaio di anni, difatti quando l'undicesimo Inca Huayna Capac, sul letto di morte divise l'impero tra i suoi due figli, Huascar, nato e vissuto a Cusco e Atahualpa nato da una donna di Quito e sempre vissuto li', segnò l'inizio della fine di questa grande civiltà. I due fratelli, infatti, provocarono una guerra civile, indebolendo il popolo e quando Atahualpa, dopo aver avvelenato il fratello, prese il controllo anche della parte sud dell'impero, sembra che la gente non lo amasse e non lo riconoscesse. La sfortuna (o fortuna, dipende da che parte state) vuole che gli Spagnoli arrivassero proprio in questo momento...e quale momento migliore? Non solo all'inizio furono bene accolti e rispettati, in quanto arrivati dall'acqua (come, secondo la leggenda, arrivarono anche gli Inca), vestiti di metalli preziosi (le armature) e in groppa ai cavalli (cosa che dava loro una luce sacra e una posizione superiore), ma, anche nel momento del combattimento, non fu difficile vincere un popolo ancora diviso. Il conquistatore spagnolo Pizarro e l'Inca Atahualpa si incontrarono a Cajamarca e questo momento cambiò il corso della storia del Sud America. Atahualpa fu preso in ostaggio e questi, in cambio della libertà offrì molto dell'oro custodito a Cusco. Peccato che gli spagnoli non erano uomini di parola e, dopo averlo tenuto prigioniero vari mesi lo ammazzarono e marciarono su Cusco. Qui, e nelle zone circostanti, si svolsero varie battaglie, ma i cavalli, le armature, e le spade di acciaio avevano già scritto l'ovvio finale.

Nel corso del periodo coloniale ci furono alcuni tentativi di rivolta da parte del popolo, come quello di Manco Inca nel 1536, finito con la sua morte o quello di Tupac Amaru, altro discendente Inca nel 1571. Questo, in particolare, fece le cose fatte bene, anche se il finale non gli diede giustizia. Organizzò un movimento rivoluzionario, condannò a morte e giustizio' un funzionario reale, abolì il sistema di lavoro nella mina di Potosi', dove venivano schiavizzati gli indigeni e dove in più di 8 milioni, persero la vita, abolì tutte le imposte e l'obbligo di mano d'opera indigena di qualsiasi tipo. Migliaia di gente lo seguiva e combatteva al suo fianco, finché, pare, tradito da qualcuno, fu catturato. Quando, in cambio di promesse, gli furono chiesti i nomi dei complici lui rispose “qui non ci sono altri complici a parte tu ed io: tu in quanto oppressore ed io in quanto liberatore meritiamo la morte”. Fu legato braccia e gambe a quattro cavalli fatti andare in direzione opposta x smembrarlo nella piazza principale di Cusco e infine decapitato. Ammazzarono tutta la sua famiglia e i suoi discendenti fino al quarto grado.

La cosa meravigliosa del Perù e di Cusco in particolare e' che, attraverso i suoi musei, le sue guide, i suoi affreschi artistici per le strade, lancia un messaggio che non e' di supporto alla grandezza europea: e' un messaggio di amore per il proprio popolo, di riscoperta della proprie radici e di invito, rivolto alla propria gente, ma anche al mondo intero, a rileggere e reinterpretare la storia e riscoprire la forza culturale e spirituale del popolo americano e in particolare quello andino.

Non ci e' bastata una settimana per visitare tutti i siti archeologici di Cusco e del Valle Sagrado. Beh, Cusco in se' e' un sito archeologico, basta camminare per le vie del centro per rendersi conto che gli spagnoli costruirono la città coloniale sulle basi di quella incaica: i palazzi sorgono su muri fatti di pietre finemente lavorate e incastrate tra loro perfettamente in modo tutt'oggi inspiegabile e irriproducibile. Le chiese furono costruite sopra ai templi che distrussero in parte (a volte la base e' la stessa) e per le quali usarono gli stessi materiali. Ma ad impressionare maggiormente sono i siti archeologici dei dintorni, come Chinchero, in cui si vedono chiaramente elementi incaici, o Saqsaywaman, un complesso creato da Pachacutec che, nonostante sia rimasto solo il 20% dell'originale perché fu distrutto e molto del suo materiale usato in vari edifici della città coloniale, provoca un forte impatto per l'imponenza delle mura rimaste, la forma, la grandezza della sua piazza e la perfezione delle strutture, o anche il sito di Tambomachay, uno dei numerosi Tambo, ossia dove i Chasky (messaggeri dell'impero) vivevano con la famiglia in attesa di dare il cambio al loro collega (il sistema dei messaggeri funzionava tipo una staffetta) o riposavano e si ristoravano dopo una lunga corsa. Ma era anche una sorta di residenza rurale dell'Inca, in cui veniva adorata l'acqua attraverso sistemi di canali e fontane e dove la meditazione era l'attività principale. Pukapukara, poco distante, era invece il luogo in cui i giovani Inca si ritiravano per completare la loro formazione, che era soprattutto di tipo spirituale. Anche il sito di Q'enco e' affascinante: si tratta di un antico tempio e luogo cerimoniale che fu poi rovinato e sotterrato dagli spagnoli, per imporre il cristianesimo. Il più impressionante e' il sito di Ollantaytambo, una cittadina che ha mantenuto la forma, le viuzze, i canali e le mura dei palazzi della vecchia città inca e che e' stata continuamente abitata per più di 700 anni. Fu la sede di una delle battaglie vinte dagli inca contro gli spagnoli, infatti presenta un complesso di difesa, ora sito archeologico, che salendo sulla montagna attraverso numerose terrazze che ospitavano i coltivi e allo stesso tempo facevano da mura, arriva alla fortezza dalla quale si dominano la valle e i suoi ingressi.

Infine c'è Machu Picchu...ma ai pochi che sono riusciti a seguirmi fino a qui, concedo un po di meritato riposo, e a Machu Picchu stesso uno spazio tutto per lui...

sábado, 17 de marzo de 2012

IL PULMINO DEI CRETINI

Le escursioni di gruppo non ci sono mai piaciute e le abbiamo sempre evitate, preferendo andare per gli affari nostri e prendere una guida sul posto ma, a Huaraz, sulla Cordillera Blanca, visto il poco tempo a disposizione e la poca differenza economica rispetto all'opzione “turista fai da te”, abbiamo deciso di farne una per andare a visitare le rovine di Chavin.
Dopo questa esperienza siamo ancora più convinti che ci facciano schifo e che continueremo ad evitarle. Non e' solo il fatto che si e' in tanti ma non ci si caga, o che viene repressa la liberta individuale, quel che più mi da fastidio e' che veniamo trattati come bestie stupide. In questa escursione in particolare poi, la guida era un perfetto imbecille che ripeteva alla fine di ogni frase “estamos bien?” ossia un equivalente del nostro “ci siamo?” e che sembrava si fosse pippato un chilo di coca o che avesse un appuntamento con una gnocca e noi gli stessimo facendo perder tempo. Poi quando succede che la mia strada, soprattutto se e' un
cammino interessante, si incontra, interseca e sovrappone con un elemento del genere finisce che mi sale un nervoso, ma un nervoso, che non riesco più a star dietro all'assunto perché vorrei solo eliminare il suddetto elemento dal mio orizzonte. E quindi alla fine ci rimetto non solo in salute, ma anche in tempo e conoscenza, dato che quel che apprendo dalla visita e' un terzo di quello che avrei potuto apprendere altrimenti, che comunque e' poco dato la preparazione del soggetto in questione. Se poi questo sottosviluppato celebrale dice che la cultura Chavin, che era una civilta preincaica di alto livello dati i resti trovati, si e' estinta perché consumava il San Pedro, che e' risaputo essere stato, in tutta l'America andina, una pianta sacra che veniva usata dai sacerdoti per le loro cerimonie e che in tutte le altre culture non ha provocato danni a livello di massa...allora scusate, ma come si fa a non volergli staccare la testa con un morso e darla in offerta al dio delle fogne? Per non parlare del fatto che in tutta la giornata non si e' levato un secondo quegli occhiali da sole da perfetto coattone, come si dice a Roma e io se sto parlando con qualcuno, o se lo sto ascoltando, gradirei guardarlo negli occhi.

Ma la cosa che mi ha fatto perdere le staffe e' stata la visita al museo: sembrava una gara, spendeva mezzo minuto per ogni stanza e se ci fermavamo a leggere le spiegazioni nei cartelli ci diceva che non potevamo ne' andare avanti ne' restare indietro, bensi dovevamo seguirlo e basta.
Mmm...uu..hh...ggrrrrrrrrrrrAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHH! Ad un certo punto son scoppiata e gli ho detto che non mi piaceva per niente questo modo di visitare il museo e che lui mi metteva ansia. E' rimasto un secondo zitto, poi ha continuato la sua performance ma non mi ha più rotto le palle se io visitavo il museo per gli affari miei. In ogni caso non ho potuto soffermarmi troppo perché molto presto ha annunciato la partenza del pulmino. Una volta su, ha avuto il coraggio di dirci che se quando fossimo passati per un passo di montagna a 4000 metri avessimo incontrato la neve, saremmo scesi per giocare. CHE COSA??? SCESI PER GIOCARE CON LA NEVE???? Mi hai messo il peperoncino in culo per tutto il giorno, abbiamo visto il museo come se ci stessero crollando in testa le mura e ora tu vuoi fermarti a giocare con la neve???? Penso che qualche dio lassu sia stato clemente con lui e non ci ha fatto trovare la neve perché se no non so come finiva...
Ovviamente, data la premessa, non posso dire di dominare la questione “Cultura Chavin”, ma posso raccontarvi che si trattava di quella che viene considerata la civilta più antica del Peru. Il luogo, che ora e' un sito archeologico, fu costruito tra il 1200 e l'800 a.C ed era un luogo di culto e pellegrinaggio come lo sono il Vaticano, Gerusalemme o la Mecca. Si possono vedere ancora chiaramente la piazza principale che ospitava le cerimonie di un gran numero di pellegrini e che preannuncia un enorme tempio in stile azteca (infatti si teorizza che forse i Chavin venissero dal Messico o che avessero avuto contatti
con gente di quelle zone). A circondare la piazza e' un sistema sofisticato di canali e drenaggi che pare servissero anche per intimorire il popolo (che doveva lasciare qui il suo tributo), infatti l'acqua, passando sotterraneamente faceva un suono che sembrava quello del verso di un puma incazzato e, come si sa, il puma, insieme con il serpente e il condor, sono i tre animali che si usavano, nelle culture andine, per rappresentare la loro cosmologia (il serpente rappresenta il mondo dei morti, il puma quello dei vivi e il condor quello delle divinita) e che sempre ritornano nell'architettura e nell'arte dei popoli antichi. In cima al tempio sono rimaste intatte delle gallerie in blocchi di pietra, che abbiamo potuto percorrere, che servivano per le cerimonie sacre ed allucinogene dei sacerdoti e che hanno conservato perfettamente una statua monolitica rappresentante il loro dio. Secondo alcune testimonianze del tempo della conquista, quando gli spagnoli sono giunti qui, c'era ancora gente che peregrinava al tempio lasciando le loro offerte, nonostante la cultura Chavin fosse gia stata assimilata dagli Inca. Poi, successivamente, il posto e' stato sotterrato quasi interamente da una valanga e gli spagnoli non gli hanno più dato importanza. E' stato quindi dimenticato e non citato più nei documenti della conquista, finche, per una serie di coincidenze e ricerche, un po alla volta archeologi e storici lo hanno ritrovato e rivalorizzato.
Nonostante la brutta esperienza con l'escursione organizzata e con l'idiota della guida, questo posto tra le alte montagne peruviane ci ha affascinato con la sua storia e ci ha dato ulteriori elementi per non giungere nell'ombelico del mondo inca impreparati...

viernes, 9 de marzo de 2012

IL VIAGGIATORE COME PONTE TRA LE CULTURE

Tre o quattro anni fa, dall'Argentina, contattai Juan, un professore di turismo, perché ero interessata ad un suo progetto di turismo responsabile che stava realizzando qui in Perù. Alla fine optai per lavorare come volontaria in Patagonia e il resto e' storia...Beh, quando siam passati per Trujillo, la sua città, abbiamo deciso di conoscerlo e capire un po' come lavora. L'incontro e' stato molto piacevole, interessante e ispirante ed e' terminato con il consiglio, da parte sua, di passare per Pamparomas, nella Cordillera Negra, dove da poco ha avviato un nuovo progetto e soprattutto dove avremmo dovuto assolutamente conoscere Padre David, un canadese che da quasi vent'anni vive li'. Noi non siamo molto nella onda chiesa, preti, ecc, ma ci piaceva l'idea di andare in un paesino tra le montagne e conoscere gente impegnata in progetti interessanti. Con curiosità siamo arrivati a Pamparomas, e con un groppo in gola, 12 giorni dopo l'abbiamo salutata. Questa e' stata una delle esperienze più intense del viaggio.

David e' un prete con i contro-coglioni che nel 1997 ha formato una organizzazione no profit (la Junta de Desarrollo Distrital de Pamparomas) e, attraverso fondi di alcune ONG, tra cui una italiana, e' riuscito a dare lavoro a vari giovani del posto e delle comunità circostanti. Si tratta di una istituzione che ha come scopo il recupero, in una zona che oggi soffre gravi problemi di malnutrizione, delle tradizioni preispaniche, soprattutto per quanto riguarda l'agricoltura e l'alimentazione, nonché l'autostima in loro stessi e nella loro cultura (diminuita notevolmente a causa di secoli di sfruttamento e discriminazione). Questa gente parla quechua e vive ancora organizzata in comunità. Insomma, il popolo andino resiste. La civiltà europea in più di 400 anni di occupazione e imposizione non e' riuscita a cancellare completamente la loro cultura. L'impero incaico e' stato battuto, ma e' ancora vivo. Un po' acciaccato, ma persevera. Sono andate perse molte delle conoscenze e tecniche riguardanti l'agricoltura (che comunque e' estesa), l'architettura e altre scienze perché non esisteva una vera e propria scrittura quechua e le rappresentazioni artistiche riguardavano solo l'aspetto sacro e non quotidiano della vita, ma soprattutto perché gli spagnoli hanno eliminato i loro capi (gli Inca) e hanno costretto il resto del popolo, tra cui contadini, intellettuali, astrologi e detentori del sapere, a lavorare nelle miniere durante la folle ricerca di oro e argento da inviare alla madre Europa, o li hanno schiavizzati in altri modi nella costruzione delle colonie. Ciononostante la cosmo visione, la solidarietà, il loro vivere in comunione, le loro danze, le loro musiche, la loro arte e la lingua sono rimasti e testimoniano l'esistenza di un popolo vivo.

Attraverso un team di giovani della zona da poco laureati (o ancora studenti) in agraria, comunicazione e contabilità la Junta lavora nei suoi uffici e raggiunge le comunità circostanti e le aiuta a riscoprire dentro di loro e tra di loro le conoscenze millenarie e a diffonderle. Un po alla volta siamo entrati in confidenza con i ragazzi e abbiamo partecipato alle riunioni e e condiviso esperienze (oltre ad aver trafficato per giorni con i computer per ripulirli e installare Linux, nella speranza che non abbiano più problemi di virus). Avendo ricevuto e imparato moltissimo, abbiamo voluto lasciare un po della nostra esperienza, soprattutto per quanto riguarda le eco-tecnologie “caserecce” come il compost toilet, lo scaldabagno solare, l'utilizzo dell'energia passiva attraverso varie tecniche di auto-costruzione con materiali naturali, ma anche consigli per la gestione e il riciclo dei rifiuti, fino ai metodi di agricoltura imparati in Patagonia e durante le nostre esperienze nelle aziende agricole e fattorie in Italia e in Norvegia o visti durante questo viaggio in Sud America. Insomma, c'è stato uno scambio interessante e loro sono rimasti molto contenti di poter conoscere esperienze diverse.

Un paio di volte abbiamo visitato una comunità ad una ventina di km dal paese. La prima volta siamo andati in moto con uno dei ragazzi della Junta e il gruppo dei giovani che si occupano del progetto nella comunità ci ha mostrato il loro lavoro nella serra, i loro allevamenti di porcellini d'India e di Lama (antiche tradizioni mai morte) e la comunità in generale. La seconda volta siamo saliti in autobus (e tornati giù in due con una bici senza catena!) e la comunità ci ha offerto un pranzo di quinoa, porcellini d'india (che ho mangiato nonostante non mangi carne) e riso. Noi abbiamo offerto loro pane fatto il giorno prima nel forno di terra cruda della zia di un ragazzo della Junta e una cremina di avocado e li abbiamo aiutati ad aggiustare il telo di nylon della serra, facendo vedere loro come facevamo in Patagonia. Anche qui e' stato interessante, nonostante la difficoltà linguistica e la differenza culturale (alcuni di loro parlavano solo quechua..altri non parlavano per timidezza), scambiare esperienze e conoscenze e condividere il lavoro ed il cibo.

Credo che questa sia la cosa più bella del viaggiare e chi viaggia dovrebbe sentirsi responsabile di far circolare le informazioni e le nuove o differenti tecniche tra le popolazioni visitate. Oserei dire che il viaggiatore e', potrebbe o dovrebbe essere un ponte tra le diverse culture e le diverse realtà.

Anche per questo faremo tesoro degli insegnamenti della Junta...

come dice la mia amica Lucia “Se tu hai una mela e io ho una mela e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela per uno. Ma se tu hai un'idea ed io ho un'idea e le le scambiamo allora entrambi abbiamo due idee”.

miércoles, 29 de febrero de 2012

L'ACQUA NEL DESERTO: IL PERU E LE GRANDI OPERE PREISPANICHE

Con un misto di tristezza e felicita' nel cuore, abbiamo lasciato l'Ecuador, un paese meraviglioso che ci ha colpito, stupito e affascinato, con la sua varietà di paesaggi (e non abbiamo visto la costa!), la sua viva cultura e la tranquillità che ci ha regalato.
L'attraversamento della frontiera e' ogni volta più facile: per andare in Perù abbiamo deciso di viaggiare di notte, perciò ho solo un vago ricordo della pratica burocratica svoltasi alle 3 della mattina, cosa durata non più di 10-20 minuti, mentre il pullman aspettava che riprendessimo i nostri posti e i fili dei nostri sogni.
Arrivati a Piura tutto mi e' apparso nuovamente rumoroso, incasinato, sporco e allegro come in Colombia. Poi mi e' venuto in mente che forse più che dal Paese dipende dal fatto di essere sulla costa, cosa che in Ecuador non abbiamo sperimentato, etichettandolo, forse per parziale ignoranza, Paese assolutamente tranquillo e pulito. Camminando dal terminal del pullman che ci ha portati qui a quello che ci avrebbe portati a Trujillo (in Perù non esiste una stazione dei pullman, bensì ogni compagnia ne ha una privata, cosa molto più tranquilla, ma anche estremamente scomoda), abbiamo avuto modo di ottenere la nostra prima impressione sulla gente (positiva) e di vedere per la prima volta quello che sarà il mezzo di trasporto per il prossimo viaggio, o anche per la vita quotidiana: un favoloso motorino triciclo, ossia con una cabina dietro con due posti, coperta da un nylon antipioggia! O, ancor meglio, la variante che ha, invece dei posti dietro, un carrello con due ruote saldato alla moto. E' in pratica una sorta di Ape, solo che più veloce e più grande. Ottimo per trasportare materiale nella vita montanara quotidiana e comodo per dormirci mentre viaggi, magari mettendoci sopra la tenda!
Parlando di cose serie, una volta arrivati a Trujillo, dopo qualche ora di pullman attraversando il deserto, abbiamo saggiamente deciso di far base a Huanchaco, un paese turistico sull'oceano e accampare in un ostello-campeggio che, nonostante sia molto rinomato tra i backpackers, ci ha stregato, facendoci stare qualche giorno in più del previsto. E' che aveva tutto ciò di cui un viaggiatore può aver bisogno: cucina, bagni belli e puliti, amache qua e la', connessione internet, ristorantino che faceva una buonissima torta al cioccolato e per finire vista sull'oceano e sui numerosi surfisti che si cementano tra le onde. Una vera oasi nel deserto (beh, dato che faccio pubblicità la faccio fino in fondo: Hostal-Camping Naylamp)! E poi, dopo tanta pioggia, non potevamo credere di poter stare la sera seduti fuori dalla tenda senza venir docciati. Guardiane di questo posto, sono due tartarughe giganti oltre-cinquantenarie che, a quanto dice la tipa della reception, mangiano insalata e ogni tanto sgranocchiano il piccolo San Pedro che c'è' nel giardino...

In questa zona desertica ovviamente non si coltiva niente di niente e mi domandavo come mai fosse cosi densamente abitata. La risposta e' semplice: un tempo qui c'erano alberi, piante, agricoltura. Parlo dell'epoca dei Moche prima e dei Chimu poi. Si tratta di popoli preincaichi (che sono l'uno la evoluzione dell'altro) i quali avevano raggiunto livelli di sviluppo elevatissimi, tanto da costruire un canale che per 84 km, serpeggiando e mantenendo l'esatta inclinazione che permetteva all'acqua di scorrere con una velocità e forza costante senza rompere gli argini, portava l'acqua, e quindi la vita, fino ai loro terreni e alle loro case. Poi un giorno arrivarono gli Inca che – anche loro devono esser stati abbastanza figli di.... – dovendo espandersi ed avendo a che fare con gente tosta, pensarono bene di bloccare il canale, togliendo loro la fonte di vita ed obbligandoli ad arrendersi. Poi arrivarono gli Spagnoli che buttarono giù tutti gli alberi per costruirsi le loro belle chiese e il resto e' storia...e deserto. In ogni caso il canale resta, anche se non porta più acqua ed e' una delle maggiori opere pre-ispaniche in Sud America e vi e' mistero sul metodo di costruzione, mancando qui la ruota, il cavallo e in quella zona la stessa acqua (per questo motivo han fatto il canale). In altri luoghi, invece, altri canali sono ancora funzionanti e dove ci sono loro c'è il verde.
I Moche vivevano in una pianura in cui sbucano due piccoli monti, il Cerro Negro e il Cerro Blanco, ai piedi del quale, in quanto sacro, costruirono la Huaca de la Luna, un tempio di adobe, ossia mattoni di terra cruda, in cui vivevano i sacerdoti che erano la classe religiosa che deteneva il potere. Al suo interno veniva venerato il loro dio al quale veniva offerto il sangue di un guerriero. Lo sfortunato era colui al quale, durante un combattimento, veniva tolto il casco. Una volta individuata la vittima sacrificale, veniva portata all'interno della Huaca (per l'ultima ma anche prima volta, dato che solo i sacerdoti ed alcuni rappresentanti del popolo avevano accesso al luogo sacro), e messa in una stanza per varie ore. Qui, per fortuna dico io, gli davano da bere il San Pedro al fine di purificarlo prima del sacrificio, che avveniva per sgozzamento sopra ad una pietra sacra. Il sangue veniva raccolto e consegnato all'autorità massima che aspettava seduta su una specie di trono, unico posto della Huaca visibile dal popolo, che partecipava dal basso a quel momento. Ogni 80 anni circa, il tempio veniva ricoperto interamente di mattoni e ne veniva ricostruito sopra un altro leggermente più grande. Gli archeologi trovarono, infatti, un edificio grandissimo che pero era accessibile solo nella parte più alta. Dopo aver capito che era formato da 5 livelli, iniziarono a scavare e al momento son riusciti a portare alla luce parti del quarto e del terzo livello. Ognuno e' decorato con altorilievi rappresentanti il dio i cui colori sono ancora evidenti. Nella parte esterna, invece, le rappresentazioni ci raccontano il combattimento dei guerrieri ed il loro sacrificio. Ma chi faceva tutti quei mattoni di terra cruda? C'era forse una fabbrica? No, era il popolo a farli e donarli ai sacerdoti come forma di tributo, infatti su molti mattoni si vedono dei simboli, che sono le “firme” delle varie famiglie.
La storia si fa interessante quando il popolo, stremato da episodi climatici gravi (il niño), inizia a non credere più ai sacerdoti, a mettere in dubbio la religione e si ribella. Da questa “rivoluzione” emerge una sacerdotessa. Anche il quinto livello della Huaca viene tappato ma non per ricostruirne un altro sopra. Il tempio nuovo, infatti, si trova a lato del primo, più in alto perché su una pendice del Cerro Blanco. Anche questa epoca dura poco e il potere viene preso dai capi amministratori che risiedono nella Huaca del Sol, un edificio non lontano alla Huaca de la Luna. Per poter guidare il popolo viene reinventata la religione e la sede sacra cambia (la storia dovrebbe far riflettere e capire il presente...). I sacerdoti e altri esponenti della vecchia casta dominante scappano e iniziano ad occupare un'altra zona, dando vita ad un'altra civiltà.
Tra quelli che rimangono, qualcuno emerge e diventa parte della nuova élite che da' vita alla civiltà' Chimu, che occupa lo stesso territorio, ma la cui sede sacra e governativa viene costruita dove poi, un po alla volta, sorgerà la città di Chan Chan, ossia quella che oggi viene dichiarata la città di barro (terra cruda) più grande d'America. Questo sito archeologico, a differenza della Huaca della Luna che e' privato, e' statale e sembra che ci sia stato un magna magna (ma che strano, anche qui?) e quindi il poco che e' stato messo a posto e che e' visitabile, ha anche qualche problema di originalità' dei pezzi... in ogni caso e' affascinantissimo. Dunque, nel mezzo del deserto c'è questa città' semi-sciolta e semi-sommersa dalla sabbia che continua per km e km. Cio' che si vede son muri di terra deteriorati e mezzi sciolti o addirittura montagnole e dune sotto alle quali stanno i pezzi di muri rimasti, ma che ancora mantengono la loro disposizione originaria e quindi mostrano la forma delle case e delle stanze. In questo posto non piove quasi mai, ma in alcuni anni si e' manifestato il fenomeno atmosferico del Niño che, quindi, con le sue piogge, ha sciolto in parte la città'. La parte dei muri che e' rimasta sotto alla terra che gli si e' sciolta sopra e alla sabbia che e' stata portata dal vento, e' stata per questi motivi protetta ed e' ancora intatta e ben conservata, solo che il governo non ha i soldi per iniziare i lavori e quindi cosi rimane. C'è una zona, pero', che e' stata in parte ricostruita e che si può visitare. Si tratta di un palazzo di uno dei governanti: una muraglia che circondava un'area di una decina di ettari (di cui solo una parte e' aperta al pubblico) e all'interno della quale vivevano il governante, la sua famiglia, i servitori e pochi altri, forse sacerdoti (al momento non ricordo). E' formato da piazze, solo in una delle quali potevano accedervi anche i rappresentanti del popolo, case e corridoi tutte uguali che formano un labirinto in cui era facile, perdersi. Un pozzo enorme, oggi unico punto verde pieno di vegetazione, serviva all'epoca per rituali religiosi e gli altorilievi qua e la' rappresentavano le onde del mare, il niño, le reti da pesca e alcuni uccelli marini, nonostante la loro attività' principale fosse l'agricoltura (qui arrivava il famoso canale che gli inca fecero chiudere). I principi dei popoli sottomessi restavano a vivere all'interno del palazzo, a fianco dei governanti Chimu, ma, nel caso in cui la natura si arrabbiasse (e quindi arrivasse il Niño), l'unica maniera di calmarla e compiacerla era sacrificare un sangue nobile e quindi toccava agli invitati. Quando invece moriva il governante, il palazzo veniva chiuso e diventava un mausoleo. Il nuovo governante si faceva costruire un nuovo palazzo con le stesse caratteristiche e cosi via, ed e' per questo che Chan Chan si e' estesa tanto e ancora oggi si vedono o intravedono le sue mura (non certo per le umili case del popolo che viveva attorno coltivando i campi).

Oggi queste dune desertiche ricordano un passato in cui una civiltà, con un lavoro duro ma ben organizzato riusci a fare delle opere grandiose, non tanto per la superbia di un governante quanto per portare la vita al loro popolo e sembrano, con il loro silenzio, puntare il dito verso un mondo che e' arrivato sulla luna ma non riesce a render fertile la terra dei suoi abitanti.