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lunes, 16 de abril de 2012

UN PO DI BOLIVIA

Dopo una fugace visita a La Paz, una bella e viva capitale in cui anche in pieno centro le facce della gente erano al 90% indigene, ci siamo diretti verso Potosi, non potendo non visitare il famoso Cerro Rico, ossia la montagna da cui gli spagnoli hanno estratto argento per secoli. Si dice che questa montagna sia la culla del capitalismo, perché con la ricchezza che usciva da essa per entrare in Europa si e' finanziata l'industrializzazione del nuovo mondo. Peccato che a pagare siano stati milioni e milioni di indigeni che venivano sfruttati nelle miniere. Questa povera gente non riusciva a durare più di un paio di anni e pochi arrivavano a sei sette. Insomma una carneficina. Potosi era una delle città più ricche del globo: nel XVI e XVII secolo il Cerro Rico fu il centro della vita coloniale americana, al quale arrivavano materie prime e prodotti dal resto del continente. Nel XVIII secolo la popolazione di quella che oggi e' la Bolivia superava quella che occupava l'odierna Argentina. Poi arrivo' la decadenza, condanna riservata a tutte le regioni che hanno avuto un ruolo d'onore nella crescita di Europa e Stati Uniti, dove esportavano i loro prodotti, e oggi la popolazione boliviana e' più o meno un sesto di quella argentina. Potosi e' quasi una città fantasma, se comparata al periodo di gloria. Restano i palazzi e le chiese a testimoniare il suo antico splendore, ma oggi e' solo una povera città dello stato più povero dell'America Latina. Qualche scritta in centro attesta la promessa del popolo boliviano a non sottoporsi più allo sfruttamento e alla rapina da parte di mano straniera, ma quel che e' certo e' che qualcuno dall'altra parte del mondo dovrebbe delle scuse come minimo.

Siamo andati a visitare la miniera, anche se abbiamo preferito non arrivare dove lavorano i minatori (ci sono dei circuiti turistici che mostrano il lavoro nella miniera) in quanto non me la sentivo di andare con la mia faccia da turista a sbirciare la gente che fa un lavoro duro e pericoloso. Oggi la miniera appartiene allo stato boliviano e il lavoro e' sicuramente meno duro di quello dei tempi della colonia, ma, a causa dei gas e delle polveri che respirano, oltre all'alcol e alla coca che consumano, i minatori che lavorano abitualmente nelle gallerie della montagna non raggiungono i 40 anni di eta'. Insomma, non mi sembra proprio il caso di trasformarli in fenomeno da baraccone. Il nostro giretto turistico ci ha portato nel museo ospitato in una galleria dove, masticando coca e indossando abiti di sicurezza, abbiamo ripercorso la storia della miniera e omaggiato lo Zio, il dio/demone della stessa al quale i minatori offrono coca, alcol e sigarette affinché li protegga.

La nostra visita boliviana purtroppo non e' durata più di due settimane, durante le quali siamo per fortuna riusciti a fare un salto alla salina di Uyuni e al paesaggio lunare di Tupiza, che pare sia stata anche la tomba di Butch Cassidy e Sundance Kid, i nostri amici cholileri!

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