Zaino in spalla e via!
Siamo in 3 perché' Ted viaggerà con noi fino in Colombia, dove vuole fermarsi per un po'. E quindi ecco il nostro bel gruppetto multiculturale in giro per l'America Latina: un argentino, una italiana e uno statunitense. Anche Trinidad ci ha accolto nella sua varietà: neri discendenti di schiavi africani ma anche moltissimi indiani, perché' una volta finita la schiavitù gli africani lasciarono i campi e i poveri inglesini, non sapendo dove mettere le mani, pensarono bene di rimpiazzarli con indiani, importati gentilmente per l'occasione, e farli lavorare un tot di anni per potersi guadagnare la loro libertà. O qualcosa del genere. A loro si sono aggiunti nel tempo un po' di cinesi, come ovunque. Sembra invece che dei discendenti degli inglesi non ci sia traccia. Che se ne siano andati? Forse riscuotevano dalla madre Inghilterra e tante belle cose. Comunque nonostante l'allegria della diversità, a Trinidad c'è ben poco da ridere. Le ragioni sembrano controverse, nel senso che ognuno ci ha dato una spiegazione differente ma sembra che appena una settimana prima del nostro arrivo si sia concluso un periodo di violenza abbastanza serio. Secondo un taxista abusivo la ragione e' che i mussulmani non potendo accettare che il capo del governo sia una donna, si sono incazzati e han cercato di ammazzarla, innestando una serie di episodi di violenza. Secondo altre due campane, entrambe straniere residenti, invece, si e' trattato di ragioni di droga, gangs, traffici vari. Fatto sta che i militari irrompevano nelle case, anche se secondo il taxista non ammazzavano nessuno, e per le strade il caos era tale che era stato indetto un coprifuoco. Mamma mao. La cosa dovrebbe essere finita, ma la città in se' fa pensare che poi tanto bene qui non si stia. Ci sono grate dappertutto: le case, ma anche le guest houses o gli alberghetti son precedute da cancellate, poi addirittura la porta d'ingresso ha delle sbarre e a volte ce ne sono altre a meta' corridoio. Per non parlare delle finestre.
Appena e' stato possibile abbiamo preso il traghetto per Tobago, l'isoletta vicina facente parte dello stesso stato ma allo stesso tempo un altro mondo: la gente e' felice e sorridente anche a Scaraborough, la città più grande e il resto dell'isola e' quello che uno si immagina quando sogna i caraibi: acqua calda, cristallina in cui nuotare ore ed ore senza paura delle meduse (io non nuotavo cosi tanto dai tempi in cui a Cesenatico andavamo con papa' fino agli scogli); terra rossa e vegetazione rigogliosa e verdissima con banane, mango, arance e quant'altro che sbucano di qua e di la' lungo i sentieri, ma anche nelle strade; galline e caprette dappertutto, gente fantastica, tranquillona che ti saluta “yea man, all right man, no worries, respect” ti aiuta, si fa due risate con te e ti lascia intendere che non ci sono problemi, la vita e' bella, mondo un regalo e siamo tutti fratelli. Rastoni in ogni dove, odore di mariuana costante, amache all'ombra con vista al mare. Estate tutto l'anno. Ci siam fermati 4 o 5 giorni a Charlotteville, un piccolo villaggio di pescatori che un po' sta iniziando ad accogliere qualche turista. Un paradiso terrestre. Abbiamo anche conosciuto una coppia, con cui abbiamo passato del tempo: lei canadese che si fa sei mesi di qua e sei mesi di la', lui rastone di Trinidad. I giorni son passati tra nuotate, svago, relax, tanta frutta, yea man, respect, tramonti mozzafiato e qualche acquazzone potente ma rifrescante e dopo aver goduto di questa vita paradisiaca ho capito... che la cordigliera mi chiama. Insomma, e' una figata Tobago, non c'e' che dire, ma che ne so, ho l'impressione che, a parte i pescatori, la gente non faccia molto. Insomma, se ti siedi sotto un albero a fumarti un cannone e osservare la baia, prima o poi ti casca un frutto delizioso in testa: perché quindi sbattersi tanto? Forse semplifico un po' troppo, in fondo e' una cultura diversa e io devo ancora riabituarmi ai ritmi latini, ma non vedo l'ora di trovare i contadini, artigiani, musicisti che so che la cordigliera può “darmi”. Anche i viaggiatori qui non mi sembrano altro che turisti in cerca di un po' di tranquillità e mare d'inverno. Non ho incontrato quei viaggiatori che in Argentina cercavano di imparare qualcosa. E quindi che dire? Il paradiso può attendere, ho bisogno di creatività e forse a Tobago o fa troppo caldo per azionarsi, o il cibo e' troppo alla portata. O magari non siamo stati abbastanza tempo per conoscere davvero la vita delle persone. E' ovvio che le mie righe non sono frutto di ricerche approfondite o di esperienze di anni di vita vissuta, ma solo impressioni. Ma e' anche vero che sono le impressioni quelle che ti fanno decidere di fermarti o meno in un posto. E' la pelle che decide all'inizio. Anzi, nel mio caso anche alla fine. E la mia pelle mi dice che questa favola e' bella perché breve, che l'estate e' figa perché c'è' l'inverno e che una birretta, o quel che sia, davanti al tramonto e' più goduta se hai le mani sporche di terra o la fronte sudata per la fatica.
Mentre ricordo i giorni a Tobago quasi li rimpiango: siamo nuovamente a Trinidad, la “skerry island” perché domani prenderemo il traghetto per il Venezuela. Abbiamo trovato un hoteletto inquietante vicino al porto turistico. A quanto pare il contrasto tra yatches e quartiere che li ospita e' notevole, a differenza di St Martin. Sapevamo che la zona era particolarmente pericolosa ma dopo una settimana di buena onda, relax, camminate zaino in spalla per l'isola vicina la botta e' particolarmente forte. La gente non saluta, hanno tutti una faccia cupa. C'e' qualche matto qua e la', probabilmente impazzito per la situazione, come la tipa che ci ha chiesto i soldi per mangiare e poi si e' comprata la Coca Cola (non enfatizzerò in questa sede il mio disappunto e il mio odio per queste multinazionali che si approfittano della gente più povera e disgraziata e la rendono dipendente, come se qui non bastassero l'alcol e le droghe) o la signora che ci segue a 0,5 km all'ora per dirci cose incomprensibili. Le sbarre non sono solo nelle case ma anche nei negozi, nei fruttivendoli. I bar hanno sbarre con una piccola apertura per passare i bicchieri o quel che sia. Sopra i muretti ci sono fili spinati o cocci di bottiglia. Da far paura. E nonostante questo i prezzi non sono bassi nemmeno qua e quindi abbiamo preso in 3 una stanza x 2 e Ted dorme per terra sui nostri stuoini. La camera non e' piccolissima ma al posto delle lenzuola c'è una tovaglia a quadretti e il cesso e la doccia sono in due angolini diversi della stanza coperti da una tendina. La cosa più strana e' che in fondo alla camera c'è una porta che conduce ad un'altra stanzetta piccolina e vuota con delle finestre con zanzariera e un buco in basso nel muro come se fosse per fare entrare un cane gigante. Tutte le stanze ce l'hanno. Questo buco conduce ad una specie di patio dove si raccolgono le acque. Forse lavano le stanze con la pompa. Boh. Ovviamente non oserò chiedere alla tipa, che e' già tanto se ci ha dato la stanza senza tirarci un cazzotto. Volevamo andare a fare un salto nella spiaggetta qui dietro, ma la signora ci ha detto (ovviamente senza aggiungere un sorriso) che e' pericoloso. Mannaggia. Siamo tappati in sta stanza con sto ventilatore a palla e sta luce neon che fa venire il mal di testa e tra un pisolino e l'altro leggiamo i pochi libri che ci son rimasti. Mi domando quanto di questa pericolosita' sia vera e quanto, invece, sia venduta alla gente per tenerli buoni buoni e magari anche per il businnes di cancelli, cancelletti, inferriate e compagnia bella.
In ogni caso siamo felici di aver visto una isola caraibica vera e non costruita per i turisti.
Nel bene e nel male.
E il sapore che mi rimane e' sicuro il sale delle lunghe nuotate, lo zucchero della frutta, il fresco dell'ombra della nostra terrazzina con vista a Pirats Bay, i mille colori del tramonto accentuati dagli odori dell'erba, l'allegria delle infinite specie di uccelli che svolazzano qua e la', i big bamboo, la complicita' e il benvenuto della gente dei villaggi di Tobago e l'adrenalina del viaggio in barchetta da Charlotteville a Englishman Bay in un giorno di mare mosso con il pescatore (ragazzino rasta) che se la rideva sotto i baffi perché io mi cagavo addosso.
Anche se non voglio dimenticare la repressione della gente di Trinidad.
Domani lasceremo questo stato bipolare ed entreremo nel suolo sudamericano. Speriamo di non aver problemi con la dogana.
-Respect-
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